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Pmi regine dei macchinari

di Franco Vergnano

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22 gennaio 2010

Tra i numerosi record del made in Italy, c'è anche quello di aver conquistato il podio di primo produttore mondiale di macchine utensili a deformazione, davanti a Cina, Germania e Giappone, con un business di oltre 2,6 miliardi di euro. Sempre nella categoria delle presse (con numerose variazioni tecniche e diverse sofisticazioni hi-tech in grado di valutare le tolleranze del micron) il made in Italy conquista anche la seconda posizione nell'export, alle spalle della Germania, con oltre 1,5 miliardi di vendite. In questa speciale classifica precediamo il Giappone, Taiwan, la Cina e gli Stati Uniti.
In generale, nel ranking mondiale della robotica l'Italia è da tempo il quarto produttore mondiale e il terzo esportatore, anche perché abbiamo un forte consumo interno da soddisfare. Il nostro Paese risulta infatti essere sul podio nella graduatoria dei principali mercati consumatori di macchine utensili, secondo soltanto alla Cina, e ampiamente davanti a Germania, Corea del Sud, Stati Uniti, Russia e Giappone.
L'Italia riveste un ruolo strategico nello scacchiere mondiale della macchina utensile e, in particolare, della deformazione, oltre a vantare numerose specializzazioni di nicchia nell'asportazione dei trucioli metallici e in molte altre lavorazioni robotiche o nei cosiddetti «machining center» in grado di effettuare numerose lavorazioni dello stesso pezzo, un fattore competitivo particolarmente apprezzato dai principali utilizzatori mondiali.
Se immaginassimo di tracciare una mappa dell'industria mondiale delle macchine a tecnologia lavorante per deformazione, il made in Italy in virtù della leadership che da molti anni il paese esprime a livello internazionale, merita indubbiamente il ruolo di capitale.
Ma è l'intera meccanica strumentale che riesce a piazzare all'estero ben sette macchinari ogni dieci prodotti. E questo è un altro dei punti di forza del made in Italy, cioè quello di avere, oltre ai distretti manifatturieri, anche l'intera filiera produttiva, a cominciare appunto dalle macchine che servono a fabbricare i beni per la casa e la persona.
«Non per niente - racconta Alberto Maria Sacchi, il presidente di Federmacchine - l'apporto positivo che diamo alla bilancia commerciale è sempre su livelli record. Siamo tra i non molti settori industriali avanzati (i nostri prodotti incorporano un elevato grado di tecnologia elettronica) in grado di offrire un contributo largamente "in nero" all'eximport, insieme alla moda e al mobile».
E le prospettive sembrano buone. «A novembre – prosegue Sacchi – ci sono stati segnali positivi in quasi tutti i nostri comparti. E questo riguarda, anche se con motivazioni diverse, l'export e il mercato interno. C'è un risveglio degli ordini esteri in seguito al consolidamento congiunturale della ripresa economica. Sul versante nazionale molti produttori stanno raccogliendo i primi effetti ottenuti dalla progressiva andata a regime della legge Tremonti ter. Si tratta di commesse che si svilupperanno durante l'intero anno consentendo un significativo recupero del fatturato».
Insomma, sembra proprio di capire che nel comparto dei cosiddetti «beni strumentali» il made in Italy sia in grado di battere la crisi 2010 (in verità dopo aver archiviato un "annus horribilis" in moltissimi comparti perché il ricco portafoglio ordini accumulato nel passato si era andato progressivamente esaurendo).
E questo nonostante la dimensione media delle nostre aziende si aggiri appena sui 15 dipendenti. Ma in un mercato che cambia velocemente, i concorrenti non sono disposti a regalarci nulla. Ed è anche per questo che il settore sta lavorando per far crescere la dimensione aziendale. Sono stati messi in campo un fondo di private equity per accompagnare le aziende nel passaggio generazionale e per favorire le aggregazioni. Le aziende sanno infatti che devono irrobustire la loro taglia per poter continuare a essere competitive su mercati sempre più globali.
Va sottolineato che il comparto è formato da circa 6.500 imprese appartenenti a dodici settori produttivi specifici con un giro d'affari che corrisponde a circa il 2,5% del Prodotto interno lordo. Il contributo più rilevante fornito all'economia dalla meccanica strumentale è appunto quello dell'export, con decine di miliardi di euro ogni anno.
Le vendite di macchinari all'estero coprono una quota di circa il 6% delle esportazioni che sale al 7% prendendo in considerazione le sole esportazioni di merci.
L'occupazione rappresenta il 3,5% del totale degli addetti nell'industria italiana in senso stretto.

22 gennaio 2010
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